giovedì 15 luglio 2010

Colui che ha raccontato a Dio che non è Dio

Tutto, come spesso succede per queste cose, è nato da quattro colpi sparati in faccia. Sparati a trenta centimetri dentro un bar di San Vittore Olona, provincia di Milano, nell’arroventato pomeriggio del 14 luglio del 2008. A rimanere a terra è Carmelo Novella, detto Nunzio, 58 anni, boss di ‘ndrangheta di primordine, a capo della Locale di Milano, la divisione con cui la Provincia, il Crimine, la Casa Madre calabra separa i territori.

Ogni Locale può includere più ‘ndrine, più famiglie, ed è costituita da almeno 49 affiliati. Nunzio Novella si era messo in testa di separare La Lombardia, il mandamento del Nord Italia, dalla Casa Madre, dopo aver ammazzato Cosimo Barranca, ex reggente della Lombardia, e aver cancellato tutte le sue “doti”, tutti i gradi da lui affidati ai suoi uomini di fiducia. Era uno scissionista, e per questo è stato punito. Che la sua fine si stava avvicinando lo ha capito da un gesto inequivocabile, per chiunque abbia origini nel sud d’Italia: non gli era arrivato l’invito al matrimonio della figlia di Rocco Aquino, boss della jonica. “Qui stanno impostando un discorso. Rocco Aquino non mi mandò l’invito, a Cosimo e a ‘u Panetta sì. Non sappiamo che c’è sotto, che cazzo stanno preparando.” E un’altra è l’intercettazione che Nunzio non conosce ma che noi conosciamo, e che ha decretato la sua fine: “Quello è venuto qua sotto (in Calabria) e ha raccontato a Dio che non è Dio, ma lui è finito ormai. La Provincia lo ha licenziato.” Licenziato. Finito. Bum.

Dopo di lui il Crimine affida temporaneamente lo scettro della Lombardia all’avvocato Pino Neri, fino al 31 ottobre del 2009 quando 23 capi-Locale si incontrano nel centro anziani di Paderno Dugnano dedicato a Falcone e Borsellino. Quella sera, nel corso della tradizionale mangiata a base di capretto viene nominato a capo della Lombardia Pasquale Zappia. A Milano, solo negli ultimi due anni, sono stati documentate più di 40 mangiate. Più di 40 summit di ‘ndrangheta, avvenuti tra i 500 affiliati lombardi.

Sono quei quattro colpi in faccia che fanno partire l’operazione “Crimine”, 305 arrestati, la più grande operazione sulla ‘ndrangheta in Lombardia di tutti i tempi, che svela per la prima volta che cosa è la ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale più potente al mondo. Lo dice anche il procuratore generale di Milano, Manlio Minale: “Questa operazione ha lo stesso valore per lo smascheramento della ‘ndrangheta delle dichiarazioni del super pentito Buscetta a Giovanni Falcone per cosa nostra.”

“Tutto il mondo è diviso in Calabria e ciò che lo diventerà”, dicono i carabinieri di Monza. E infatti di nuovo, dopo l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in occasione degli arresti delle scorse settimane ai danni del clan dei Valle, il gip Giuseppe Gennari ne firma una seconda, ancora più esemplare per comprendere i meccanismi da manuale con cui la ‘ndrangheta è entrata dentro le maglie della imprenditoria e degli appoggi politici importanti in Lombardia. Questa ordinanza, infatti, firmata su richiesta congiunta del procuratore aggiunto di Milano Ilda Bocassini e del procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, che ha visto coinvolti più di tremila tra poliziotti e carabinieri, è esemplare per almeno quattro ragioni.

La prima è la natura della struttura della mafia più potente del mondo. È a forma di piramide, come tutte le Corporation, come tutte le holding che reggono il capitalismo occidentale. C’è un vertice, il Crimine, chiamato anche Provincia. Dal crimine dipendono tutte le decisioni, qualunque decisione importante anche le Colonie. Il Crimine ha potere di vita e di morte. Sotto il Crimine c’è un Contabile, un Mastro generale, un Capo Società e un Mastro di giornata. L’unità minima è la ‘ndrina, che può essere costituita da una sola famiglia o da due legate da un matrimonio. Più ‘ndrine formano una Locale, che per essere costituita deve avere almeno 49 affiliati. A capo di ogni Locale c’è la Copiata, una triade costituita dal Capolocale, dal contabile e dal crimine, colui che sovraintende alle attività illecite. Sono state documentate 15 Locali tra Milano, Varese e Como, ma Ilda Bocassini dice che “di certo sono molte di più”: Bresso, Cormano, Desio, Seregno, Calbiate, Pioltello, Corsico, Rho, Bollate, Nerviano, Limbiate, Solaro, Mariano Comense, Canzo, Erba.

La seconda ragione è la descrizione della metodologia con cui la ‘ndrangheta si impossessa di aziende decotte o anche perfettamente funzionanti, ne diventa primo azionista e le utilizza come fronte pulito per vincere appalti pubblici o commesse private. Lo stesso Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, lo dice nella conferenza stampa, quando riporta una delle moltissime intercettazioni telefoniche che insieme a quelle ambientali e ai pedinamenti hanno consentito di scoperchiare la cupola di ‘ndrangheta. Due boss parlano tra di loro, e uno dice all’altro: “Noi siamo entrati nei cantieri e ci siamo presi i lavori con la forza. Noi non dobbiamo più lavorare così, noi dobbiamo farci dare i lavori”. Sono 130 i casi di imprenditori minacciati, di mezzi bruciati, di pallottole sparate contro macchine, di bossoli recapitati nelle cassette delle lettere. E neppure un caso di denuncia. Lo dice anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: “Siamo consapevoli che le infiltrazioni sono molto forti nel Nord. Oggi la nuova logica della criminalità è entrare in aziende sane, comprarle approfittando della crisi, insinuandosi nei grandi appalti, come l’Abruzzo piuttosto che l’Expo 2015.” Ma non si tratta sempre di “compare” un’azienda, si tratta anche di taglieggiarla costringendola al fallimento con il metodo dell’usura, come dimostrano gli arresti del clan dei Valle.

Il metodo per appropriarsi di un’azienda, dunque: l’ordinanza cita il caso della Perego Strade, diventata “punto di contatto tra colletti bianchi e organizzazioni criminali”. La Perego Strade, una delle principali aziende di movimento terra di tutta la Lombardia, aveva sede a Cassago Brianza. Gli affari poi cominciano ad andare male, e l’azienda è costretta al fallimento. È a quel punto che, come sempre, entra la ‘ndrangheta. Tanta liquidità che le banche non possono più elargire, e il subentro di altri soci. Diventa Perego General Contractor, nella quale il socio occulto è Salvatore Strangio, nato a Careri, provincia di Reggio Calabria, che subentra sotto il paravento di due società fiduciarie milanesi. L’azienda ha circa un centinaio di dipendenti, e sembra salvata. E in effetti l’azienda va benissimo: vince appalti per fare lavori dentro il Tribunale di Milano, all’ospedale Sant’Anna di Como, fa la Statale 38 della Valtellina, fa la Statale Paullese, vince l’appalto Snam a Erba. Fa tanti soldi. Eppure, in otto mesi, fallisce anche la Perego General Contractor. Spariscono più di 4 milioni di euro. Poi, fallisce un altro tentativo di ridare vita all’azienda, quello della Cosbau di Trento, che ha già vinto anche appalti pubblici per la ricostruzione dell’Aquila dopo il terremoto. Ecco, allora: ci si impossessa di un’azienda decotta o in fase di decottura subentrando con liquidi e come soci occulti. Si rivitalizza l’azienda e attraverso il nome del primo proprietario si vincono appalti. Poi, in associazione a delinquere con l’ex proprietario (Perego è stato arrestato con la stessa accusa di associazione di stampo mafioso), si svuota l’azienda – se non serve più – e si mandano a casa i dipendenti.

Oppure si può anche generare il fallimento di un’azienda impedendole di lavorare con le minacce. Una volta in fallimento, si subentra. Oppure ancora si presta denaro con tassi usurai, e alla decorrenza dei termini ci si impossessa dell’azienda. “Sorpassato il bar in auto, siamo andati nei box, Novella mi ha fatto sedere rimanendo tranquillo, poi ha chiamato qualcuno con il citofono, sito all’interno del box. Ha preso una pistola automatica e mi ha colpito. Quindi ha tirato fuori due cambiali che non avevo pagato e mi ha chiesto di mangiarle”, racconta un imprenditore. In tutti e tre i casi, comunque, si partecipa agli appalti pubblici, compresi quelli per Expo 2015.

La terza ragione è la messa in scena dei fittissimi agganci politici della ‘ndrangheta in Lombardia. Il fratello di Francesco Lampada, arrestato nell’operazione sul clan Valle, entra ed esce con grande familiarità dall’assessorato alla Famiglia, suola e politiche sociali del Comune di Milano, dall’ufficio della superdirigente Carmela Madaffari, assunta proprio dal sindaco Moratti in persona. “Andiamo a trovare Carmelina” dice Giulio Lampada, che ha fondato il suo impero con le slot machine nei bar, prima di cominciare ad acquistarli per conto suo, i bar e i ristoranti.

Poi c’è Carlo Antonio Chiriaco, il direttore generale della Asl di Pavia, che comprava i voti per Giancarlo Abelli, il luogotenente del presidente Formigoni proprio sul fronte della Sanità. Chiriaco, finito in carcere, affiderebbe la mansione proprio all’avvocato Pino Neri che, in una intercettazione dice “Giuro che farei la campagna elettorale per lui come fosse la prima volta, con la pistola in bocca, perché chi non lo vota gli sparo”. Intanto gli ospedali pavesi ospitavano Pasquale Barbaro, il figlio del boss appena condannato al processo Cerberus, e Francesco Pelle, quello della strage di Duisburg. Poi c’è Barranca, il Capolocale di Milano, in rapporti con Pietro Pilello, dentro Ente Fiera Milano, la metropolitana milanese, la Finlombarda e molte altre società. Nelle intercettazioni esce anche il nome di Angelo Giammario, consigliere regionale Pdl, proprio in conversazioni elettorali tra Barranca e Chiriaco. C’è scritto a chiare lettere dentro l’ordinanza di custodia cautelare: “Chiriaco mette a disposizione della ‘ndrangheta la sua carica di direttore sanitario Asl e i propri contatti politici a ogni livello, incanalando i voti a favore della candidatura di Giancarlo Abelli e Angelo Giammario.”

Poi ancora c’è l’assessore comunale Pietro Trivi, indagato per corruzione elettorale. E ancora Massimo Ponzoni, ex assessore regionale, che “viene indicato come il personaggio giusto al quale rivolgersi per sostenere la candidatura di un soggetto gradito ai calabresi. E l’inquietudine raddoppia quando si apprende che l’uomo dei calabresi è un colonnello dei carabinieri”. Di seguito c’è Antonio Oliviero, ex assessore provinciale al turismo nella giunta di Penati, che dal 2009 è passato con il Pdl di Podestà. Dice in una intercettazione Chiriaco, riguardo ad Abelli: “Deve fare l’assessore alle Infrastrutture che può fare quel cazzo che vuole. Poi lui ha la testa. Nei prossimi cinque anni c’è l’Expo 2015. Ma sai cosa c’è da fare nei prossimi cinque anni a livello di infrastrutture?”

La quarta ragione è rappresentata dal ruolo di quelle che in gergo investigativo vengono chiamate le “talpe”. Già dal primo luglio, ben dodici giorni prima degli arresti delle 5 di mattina del 13 luglio, la ‘ndrangheta sapeva tutto. Persino i nomi degli arrestati. Conosceva il quando, il come e il dove sarebbero partiti gli arresti. “A Milano ci sarà un bordello. Hanno sentito, hanno fatto i filmati. Un bordello.” Implicati ci sono carabinieri, poliziotti e uomini dei servizi segreti a libro paga delle cosche. “Voi dei Pelle in questa operazione non ci siete, siete in quella che chiamano Patriarca, appena arriva l’estate.” Ecco, di quella chi scrive non può sapere niente, deve aspettare la comunicazione degli arresti dall’ufficio stampa della Questura. Cosa ci vuole ancora per far comprendere il ruolo fondamentale della prima holding del nostro Paese nell’economia italiana?

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