sabato 19 marzo 2011

la messa in disuso dell'abuso


Ho riflettuto su una cosa che ha detto don Giacomo Panizza ieri mattina, una cosa che riguardava il rapporto tra legalità e felicità personale.

A volte mi viene chiesto perché mi occupi di mafia, e di mafia al nord, in Lombardia, la regione più produttiva d'Italia. Perché non mi faccio semplicemente i fatti miei, svolgendo solo il mio lavoro in una delle poche regioni in cui forse ce n'è un po'.
La risposta è: perché voglio un paese in cui i rapporti tra i cittadini siano più belli, e sono certo che questo accadrà, è il normale scorrere delle generazioni. Ma queste devono essere sollecitate, hanno bisogno di sapere.

Ho vissuto in paesi molto più avanzati del nostro e ho letto nei padri e nei nonni il percorso verso l'equità che le varie generazioni hanno compiuto, ho capito che solo nel figlio che supera il padre c'è redenzione e crescita.
Ho visto il moto carsico con cui il merito e la giustizia sociali crescono insieme con l'individualismo.

Un paese in cui il concetto di legalità è profondamente sentito è un paese in cui ognuno rispetta gli altri perché sa che solo così ne sarà rispettato, e dunque si sente protetto, non ha paura, è in sostanza più tranquillo, più felice anche: tutti uguali di fronte alla legge.

Da ciò deriva la messa in disuso dell'abuso, privato e pubblico. E questo, nel giro di poche generazioni, diviene indole personale, estetica dei comportamenti.

Il più piccolo abuso nelle società evolute è innanzitutto brutto, viene isolato, etichettato come appartenente a società meno evolute.
Il contrario che in Italia, dove l'abuso porta consenso.

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