venerdì 14 maggio 2010

Il potere originario della parola


Pubblico anche qui un mio articolo apparso sul
Corriere nazionale, che prende spunto dall'ultimo libro di Roberto Saviano.

Il potere originario della parola

La parola che si affranca dalla retorica e finalmente la sostituisce con la vita. Lo dice bene Walter Siti nella sua introduzione al nuovo volume a firma di Roberto Saviano “La parola contro la camorra” (Einaudi), citando le parole dell’autore nel dvd che accompagna il libro: “Bisogna scegliere, o vita o autorevolezza – le due cose insieme, nel sistema presente, non si danno”. Dice Siti: “La parola letteraria, dissipata in mille travestimenti e umiliata dalla forza delle immagini, ha preso la strada dell’intrattenimento sempre più effimero e tranquillizzante”.

Dall’altra strada deve passare la parola, per salvarsi. È questo che Roberto Saviano mima in mille modi, con gli scritti e con la faccia, potendo solo metterlo in pratica, agirlo: la mia vita per la parola. La mia vita per ridare dignità al pensiero. La mia vita come acconto per riguadagnare la coscienza collettiva. Ci provò Pasolini, a farci capire queste cose, e ne uscì tacitato. Ci fu il buio. Poi di nuovo la parola, sinonimo di dignità, di pensiero, riappare. E non ricorda questo, molto da vicino, ciò di cui Parmenide non smetteva di dire, all’inizio della storia del pensiero: l’originaria e scandalosa unione tra vita e parola, tra essere e pensiero?

È su questo liminare che si gioca il destino della parola letteraria; anzi, della parola e basta. Se la parola deve rincorrere le immagini facili della tv è già morta. E proprio in questo, principalmente, sta l’enorme esperienza intellettuale di Saviano, che non può che essere più che una scrittura, dopo aver messo la sua vita lì sul banco pubblico, per tutti: come un’esperienza.

Non lo si può negare: la sua potenza sta nel fatto che si mette lì in piedi e ti sputa in faccia il declino del potere originario della parola, il declino del potere della testimonianza. E si fa incarnazione del contrario. Quando la parola si stacca dal sacro (e in più di un’occasione Saviano ha parlato di un suo rapporto sacrale con la parola), dalla teofania, quando smette di essere disvelamento, testimonianza della vista del mostro, testimonianza del ritorno dagli inferi, in quel momento quella determinata società è morta. Senza la visione del morto, senza la fuoriuscita dal tempio, senza il peso di portare la parola del dio, la parola non ha più scopo, e la società dismette il Diritto come suo fondamento basato sulla parola scritta. Allora tutto si può dire, la verità non ha più casa. E la parola diviene lettera morta a sua volta, orpello inutile che come uno stupido jingle accompagna le immagini, guanto consunto e da buttare.

Questo Roberto Saviano sta facendo, e per questo è minacciato di morte dall’Italia: ci mostra il rimosso, ciò che siamo, l’origine criminale e mafiosa della nostra economia: quello che non si può dire, ciò che deve rimanere sottoterra. E in questo nuovo cofanetto, per fare ciò Saviano, infatti, ci mette anche la faccia: allega un dvd, in cui ricorda che il peso della testimonianza si porta ugualmente stampato in un libro o a teatro, o in tv. Non cambia nulla, ogni mezzo allevia per un po’ dal fardello, che poi implacabile ritorna.

In questo stesso contesto si inseriscono, secondo me, le dure polemiche di questi giorni tra il gruppo editoriale che pubblica i suoi libri, e lo scrittore: non ci può essere negazione, sottrazione di responsabilità o discredito, tra la parola che testimonia il mostro e il suo supporto, le pagine su cui la teofania si scolpisce. E in questo spazio di separazione, certo, c’è la potenzialità di una rottura che non è solo editoriale, ma è istituzionale, è dentro le vene stesse del Paese: il simbolo della lotta alla mafia contro il suo supporto editoriale e istituzionale: ovvero di nuovo contro il Paese in sé, contro il suo capo del Governo. Un conflitto che non può che vedere o l’una o l’altra parte vincente. Non entrambe.

La seconda sezione del dvd riprende la puntata di “Che tempo che fa” andata in onda il 25 marzo del 2009, quando ebbi l’occasione di incontrare Roberto nel camerino dopo la diretta, come raccontai in un articolo pubblicato su Nazione Indiana, "Siamo tutti in pericolo". In quell’occasione ebbi la prova di ciò che vedevo: lo sguardo di chi ha avuto il coraggio di guardare in faccia il dio, il mostro, e deve portarne testimonianza.

Quello sguardo è contagioso, quelle parole sono farmaci, che possono ugualmente portare alla guarigione oppure uccidere: “Una complicità – dice Saviano, infatti, a proposito della scelta del silenzio, dell’omertà di fronte alla verità – che non ha bisogno neanche di compromissione, basta non agire e tutto è a posto.”

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