martedì 26 maggio 2009

La ruota gira, poi non gira più


Il cuore, come tutte le parti del corpo, ha bisogno di sangue per funzionare. L’apporto di sangue è assicurato da due arterie (coronaria sinistra e destra) e dalle relative vene. In generale, se per qualche motivo si ha una mancanza di ossigeno a un tessuto si ha una conseguente sofferenza delle cellule (“angina”). Si ha quindi un’ischemia. Se la mancanza è prolungata (approssimativamente 5 minuti per cellule nervose, 15 per quelle cardiache) si ha la morte della cellula. Si parla quindi di “infarto” che è una “necrosi su base ischemica”. (Nota: esistono anche infarti non miocardici.)

La causa di riduzione dell’apporto di sangue al cuore è l’ostruzione delle coronarie. Si può avere generalmente, ma non solo, per trombosi coronarica su base aterosclerotica (embolo o trombo) oppure per spasmo coronarico.

Il dolore cardiaco associato a un infarto può essere confuso con gastriti o generici dolori muscolari. È bene, quindi, fare particolare attenzione ad alcuni segni caratteristici (statisticamente) di infarto e non sottovalutarli. Inoltre il dolore può essere anteriore ma anche posteriore (alla schiena).

Criterio


Frequenza

Descrizione

Tipo

costrittivo

compressivo

trafittivo
urente



raro
molto raro

come un peso
come una coltellata

come bruciare

“bruciacuore”

Insorgenza

graduale
dopo sforzo fisico
a riposo

spesso

angina
spesso

anche per più giorni

Sede

centrale
profonda
superficiale
retrosternale
“alla bocca dello stomaco”

epigastrico

possibile

possibile

rara

possibile

possibile

possibile


Irradiazione

spalle e arti superiori

collo mandibola

epigastrico
dorso




sovente sx simile alla cervicale

Durata

3-5 min. (anche 15)
>30 min.

angina




Ero andato al teatro, quella sera, a vedere uno spettacolo che parlava tutto delle ultime ore di vita di Pier Paolo Pasolini, e me ne ero tornato a casa con questa filastrocca ficcata tra le orecchie.

In macchina, mentre cominciavo a pensare all’articolo di recensione che la mattina dopo avrei inviato a uno dei quotidiani per cui collaboravo, per la prima volta ero stato colto da un pensiero che si era formato come fanno le torte dallo zucchero, la farina e l’uovo, e avevo pensato che me ne sbattevo che Bagliani era palesemente più bravo di me e più pagato, Bagliani, quella mezza sega di ottime speranze; non mi interessava perché tanto era un frocio, e bene gli stava. Io non ero un frocio.

Mentre scrivevo la mia recensione, mi è capitato che mi cadesse l’occhio su una rivista che stava aperta sulla mia scrivania, per la precisione “Internazionale”, e che quello in questione fosse questo articoletto:


Il Pentagono teme che Israele attacchi l’Iran entro l’anno. Secondo la statunitense Abc News, che cita un ufficiale di alto grado del Pentagono, è sempre più probabile un attacco all’Iran da parte di Israele. I fattori scatenanti potrebbero essere due: l’eventuale produzione dell’uranio sufficiente a costruire una bomba nucleare, e la messa in opera da parte di Teheran del sistema di difesa aerea appena acquistato dai russi. Washington teme, inoltre, che l’attacco avvenga prima delle elezioni presidenziali di novembre.


Leggendolo ho avuto la chiara visione di un déja-vu. Avevo infatti sottoposto me stesso a una specie di giochetto, la volta precedente che avevo letto lo stesso articolo, che in qualche modo avrebbe dovuto funzionare la volta successiva, e invece ricaddi senza esitazione nello stesso tranello, la sensazione che fosse la prima volta che lo leggevo.

Poi ho terminato il mio pezzo di critica allo spettacolo:


“Signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi”: il […] è stato nuovamente teatro di un grande spettacolo: un omaggio e un formidabile documento sugli ultimi momenti di vita dell’intellettuale più coraggioso ed eccessivo che il nostro Paese abbia forse mai conosciuto: Pier Paolo Pasolini. “Siamo tutti in pericolo”, titolo derivato proprio dall’ultima bella intervista-confessione da lui rilasciata a Furio Colombo poche ore prima di venire assassinato, per la regia di D. S. e la produzione di F., con G. F. e M. S., che riporta anche testi dalle cosiddette “Lettere luterane”, gli ultimi articoli che il grande poeta scrisse per “Il mondo” e “Il corriere della sera”. “Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale…”: questo è uno stralcio di quell’intervista, dall’articolo uscito sull’inserto “Tuttolibri” della Stampa l’8 novembre del 1975, una settimana dopo la sua uccisione. E ancora: “Una educazione comune, obbligatoria e sbagliata, in cui i valori che abbiamo sono: avere, possedere, distruggere” caratterizzerebbe il nostro controverso Paese, in cui diventa anche difficile distinguere tra deboli e corrotti, poiché tutti, anche i più poveri, covano il desiderio del potere. E prosegue, quasi a tirarsi contro la sorte, a dimostrare la forza e l’intransigenza del pensatore vero: “Voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali”. Trent’anni fa Pasolini lanciava un grido, un appello disperato, nel linguaggio eccessivo e lancinante proprio di un poeta, sulla condizione “pietosa” del nostro comico Paese, terra di lacerazioni. Non esiste più, oggi, nessuno come Pasolini. Non esiste nel senso che se c’è, è costretto al silenzio. Il nostro Paese l’ha soffocato, e più nessuno l’ha rimpiazzato. Quasi nessuno oggi in Italia si permetterebbe di dire pubblicamente (perché nessuno più glielo farebbe dire, per lo meno sulla carta stampata) tutto il marcio, di fare l’analisi del declino, e di proporre un’alternativa coraggiosa; nessun intellettuale che conti parla davvero dei rapporti tra mafia e politica, corruzione ed economia, del declino sociale e culturale, dell’appiattimento dei gusti e dei valori voluto dal marketing stupido e poco intelligente delle grandi aziende che fanno Pil. “Finché non si sapranno tutte queste cose” diceva Pasolini “la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l’Italia non potrà essere governata.” Alla domanda di Colombo se lui per caso non si sentisse portatore di una sorta di illuminazione, di uno sguardo privilegiato e più chiaro sulla realtà, Pasolini così ha risposto: “Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo”. “La morte” diceva Pasolini “non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi.” Oggi che lui non c’è, e da trent’anni nessuno ha mai potuto più fare quello che lui faceva, col cuore pesante bisogna dire che si sbagliava, almeno su questo: la morte è nel non poter più comunicare. Non essere compresi è un lusso morto insieme a lui.


Dallo studio potevo sentire Corinne che guardava un film hard e sicuramente si stava masturbando sul divano del salotto. Aveva preso a masturbarsi prepotentemente fino a dieci volte al giorno, dalla volta in cui le avevo proposto di guardare insieme un film porno e, come in una sorta di perversione condivisa, abbiamo deciso di toccarci immersi fianco a fianco nella cedevole seduta del divano di morbida pelle bianca. Mi era sembrato molto eccitante, in quell’occasione, e anche a Corinne, che aveva dato segni di essere venuta molto prima di me, quasi immediatamente a dire la verità, e così al momento del mio, di climax, con uno sforzo belluino di reni mi ero tirato in piedi e mi ero parato a lei di fronte, le ero venuto con uno scatto inatteso sui due colli- il suo, il naturale, quello come dire tra il mento e le spalle, e quello della invece camicetta bianca di cotone e ottima fattura che ancora indossava dal lavoro.

Da quella volta, Corinne sembrava averci preso un gran gusto e, come mi aveva confidato in un’occasione, con le guance anche un po’ tinte di vergogna, anche in ufficio non mancava giorno che si masturbasse fino a cinque volte, chiusa in bagno, o molto più semplicemente sotto la scrivania. E anche in metropolitana, con la mano cacciata dentro la tasca del trench di fattura finissima, aiutata da un aggeggino vibrante e a forma di corta matita acquistato per pochi soldi in un sexy shop.

Dalla mia scrivania mi arrivavano appena attutiti i gemiti emessi dalle grandi casse del nostro costoso sistema home theatre. Nella forma delle mie recensioni agli spettacoli teatrali – riflettevo in quello stesso momento – c’era ciò che ero senza saperlo; nel contenuto, quello che credevo di sapere di me stesso. Sempre più bisogno di sentirmi solo, di essere alle strette, di fare qualche conto. Era come se mi ficcassi spesso in un angolino e tirassi fuori i soldi per contarli, tenendoli stretti per non farmeli fregare. Avevo bisogno delle forme degli altri, poiché molte di esse mi parevano buone. Era un’attività di riflessione, per me, quella di critico teatrale, non usciva spontanea, aveva paura ad affacciarsi. Guardinga, non sapeva che strada prendere. Non era un’attività, anzi, per me, era una forma di distacco, di disagio. Nasceva dal distacco, e da lì si alimentava. Generando sofferenza, per un atto mancato per definizione. Non era come la mano che modella, era il pensiero di fronte all’inerzia, alla sospensione. Prendevo a prestito forme, e m’incamminavo. Un po’ a disagio. Questo, pensavo, finito di scrivere il mio articolo.


Era da tempo che Corinne continuava a masturbarsi con grande insistenza; parte delle ore che ogni giorno passavamo insieme, quelle serali che precedono il coricarsi, lei le trascorreva a trastullarsi. Sembrava essere preda di una sorta di mania e, dopo cena, davanti al televisore, non c’era serata che non passasse interamente con le mani cacciate dentro gli aderenti calzoni della tuta da danza.

I nostri rapporti sessuali ne avevano risentito enormemente. Le rarissime volte che ne avevamo, Corinne finiva per entrare nella stessa trance di sempre, per procurarsi piacere da sola. Se provavo a stringerla dai polsi, si dimenava talmente tanto, o mi mordeva, o cercava anche di colpirmi il volto con la fronte, finché non riusciva a liberare le mani e a raggiungere l’orgasmo da sola.

Il suo comportamento, che dapprima mi era risultato stravagante e provocante, aveva finito per gettarmi in una grande tristezza, in un implacabile senso di solitudine. Avevo cercato qualche volta di introdurre l’argomento, e lei, per tutta risposta, aveva sempre iniziato a toccarsi.


In caso di incidente stradale, se ci sono dei feriti chiamate l’emergenza sanitaria (118).

Se non avete alcuna preparazione medica, non muovete e non tentate di curare i feriti, in special modo se non sono coscienti.

Se i veicoli coinvolti sono sulla sede stradale, oppure se il luogo è poco visibile per la sua conformazione, oppure per la situazione ambientale o l’illuminazione, mettete il segnale di emergenza e cercate, rimanendo al bordo della carreggiata, di richiamare l’attenzione degli altri automobilisti in transito, fino all’arrivo delle forze di polizia.

Per avere soccorso e per far intervenire sul posto una forza di polizia, chiamate il soccorso pubblico di emergenza (113). Indicate con la maggiore precisione possibile il luogo dell’incidente e le condizioni delle persone coinvolte. Sarà il 113, grazie alle vostre indicazioni, ad attivare i mezzi di soccorso necessari, e a farli giungere sul posto.

Altri numeri telefonici utili:

115, Vigili del fuoco.

112, Carabinieri.

116, Soccorso stradale Aci (obbligatorio sulle autostrade).

Soprattutto se l’incidente appare grave non spostate i mezzi, e cercate di individuare eventuali testimoni, segnalandoli anche all’autorità che interverrà per i rilievi.

Se uno dei mezzi coinvolti si dilegua, cercate di ricordare il numero di targa e le caratteristiche (tipo, colore) e gli elementi generali degli occupanti (il numero, il sesso, l’età, ecc.), al fine di favorire le indagini per individuare gli interessati.


Avevo deciso di cominciare a pedinarla. Nella mia mente si era generato il chiaro pensiero che avrei dovuto concederle più spazio, avrei, in qualche modo, dovuto far sì che potesse disporre delle serate a suo piacimento, avevo il chiaro intento di metterla alla prova.

Avevo quindi finto di dover andare a teatro tutte le sere, con Corinne avevo inventato che le mie recensioni stavano cominciando a prendere davvero piede, stavano iniziando a soppiantare quelle del Bagliani, tutti i miei sforzi stavano producendo i loro risultati, i quotidiani preferivano me, come critico.

La mia speranza era che, avendo sempre più tempo per sé, Corinne si scoprisse di più, finendo, prima o poi, per tradirsi, per rendermi chiaro il perché del suo ripetuto autismo.

In quello stesso periodo, dal momento che le mie quotazioni come critico teatrale in verità non salivano di un gradino, avevo dovuto trovarmi qualcosa che mi tenesse occupato nelle serate in cui non andavo a teatro, e mi permettesse di sganciarmi a una cert’ora per tornare a casa e controllare se l’auto di Corinne si trovasse parcheggiata al solito posto – il posto-auto all’interno del nostro raccolto e grazioso centro residenziale.

Come sempre mi era accaduto in precedenza, era stata “la cosa” a trovare me, e non io lei.

Fermo a un semaforo, una sera, mentre mi dirigevo al Teatro della Memoria, mi si era avvicinata una ragazza sui 25, vestita con la divisa blu della Croce Rossa, che stava tirando su fondi per il Comitato locale in cui era Volontaria.

Ho deciso su due piedi che sarei diventato a mia volta Volontario del Soccorso.

La cosa, ho pensato, avrebbe assolto ad almeno due funzioni nello stesso tempo: mi avrebbe tenuto occupato per un paio di ore a sera, e mi avrebbe reso utile alla società, avrei finalmente potuto dare una mano a qualcuno, fare qualcosa di sensato.


Nell’ambito del servizio in ambulanza si ha l’occasione di usare spesso l’ossigeno, per cui sono necessarie alcune considerazioni:

1. chiudere sempre, dopo l’uso, il rubinetto sulla bombola;

2. le bombole devono essere sempre messe in un luogo protetto in modo che non possano cadere;

3. non usare alcun tipo di olio o di grasso sulle bombole e sugli strumenti che sono a contatto con l’ossigeno;

4. le bombole di ossigeno non devono essere esposte a temperature elevate quando vengono depositate (per esempio, nelle ambulanze sotto il sole d’estate o stivate in stanze particolarmente calde);

5. non permettere che si fumi vicino alle attrezzature per la somministrazione di ossigeno e non usate l’ossigeno vicino a fiamme libere;

6. aerare i locali ove è presente una alta concentrazione di ossigeno;

7. non svuotare mai completamente le bombole e non lasciare le valvole aperte per il rischio dell’ingresso di agenti inquinanti (polveri, batteri, ecc.);

8. Nota: pericoli O2 : nei bambini sono possibili lesioni della vista, evitare quindi di far cadere la bombola, non fumare.


Come avevo previsto, nel giro di poco più di un mese, Corinne aveva cominciato a uscire di casa. Tornavo dalle lezioni per Volontario del Soccorso, o dai primi servizi in ambulanza, ogni sera verso le 22 e 30, e spesso la sua auto non era parcheggiata al suo posto. Avevo quindi preso a uscire un po’ prima, con l’intento di seguirla.

Me ne stavo dietro una curva, appostato con casco e motorino presi in prestito da uno dei miei colleghi della Croce Rossa, e aspettavo che la Corvette nera di Corinne spuntasse dalle grandi fauci del massiccio cancello di metallo. Poi la seguivo da una certa distanza.

Andava senza eccezioni al Motel Q: tutte le sere, o quasi.

Il Motel Q era conosciuto nella zona per essere molto costoso, e per essere uno di quei tipici hotel a ore, dove si andava per consumare sesso con prostitute o con amanti. A differenza dei normali alberghi, però, il Motel Q era a cinque stelle e, soprattutto, non aveva una camera neanche lontanamente simile alle altre. Ogni stanza, tutte molto ampie e accoglienti, a giudicare dai depliant, era a tema, e lo era rigorosamente.

C’erano le suite e le alcove, appartamenti in stile Regency, in stile Neoclassico del XVIII, noto anche come Stile Impero Francese, o in puro stile Rococò, o ancora arabeggiante, alla maniera delle residenze dei Marajah, o di quelle zen di tipo giapponese, con ampie vetrate che davano su enormi giardini privati. C’erano poi quelle a tema naturalistico: le grotte, con enormi letti ricavati in spaziosi antri e piscine interne con acqua termale; i boschi, con alberi reali, come stare in una serra; le lagune, appartamenti con acqua in ogni angolo; le baite, eccetera.

Per me era chiaro che Corinne usasse quel luogo per incontrarsi con un amante. Quando ci incrociavamo per casa, per le nostre frettolose cene, sia io che lei eravamo molto scostanti, era come se condividessimo una convivenza forzata.

Era qualche tempo ormai, inoltre, che io avevo preso a dormire sul grande divano bianco del salotto, proprio il posto in cui lei preferiva dedicarsi alle sue attività masturbatorie, in cui doveva averlo fatto ormai migliaia di volte.


Nell’ambito dei traumi agli arti, ci sono lesioni che non comportano la frattura dell’osso. Sono le lussazioni, le distorsioni, gli strappi e i crampi.

Vi è lussazione quando in un’articolazione il capo articolare esce dalla sua sede e non vi rientra spontaneamente. Se invece lo fa, si ha una distorsione; in una distorsione, vi può essere una lesione parziale o totale dei legamenti.

Questo tipo di lesioni ai tessuti molli sono molto pericolose per possibili danni ai nervi e ai vasi sanguigni. Nel caso che il trauma interessi i fasci muscolari, si parla di strappi muscolari.

I crampi sono uno stato doloroso dovuto all’affaticamento prolungato dei muscoli: si tratta di un dolore intenso, ma di breve durata.

In genere le lussazioni e le distorsioni presentano gonfiore e dolore al movimento dell’arto, il quale dev’essere immobilizzato bloccando l’articolazione superiore e inferiore al punto del trauma.

Ricordarsi di verificare la presenza del polso periferico, radiale o pedidio.

Non sempre è facile distinguere una lussazione o una distorsione da una frattura, dato che i sintomi sono molto simili, per cui è opportuno trattarla come possibile frattura.

Importante: immobilizzare tutte le lussazioni nella posizione in cui si trovano senza riposizionare l’arto.

Il destino, in mancanza d’altro, ci era, dopo qualche mese, venuto incontro.

Il 118 aveva passato al Comitato locale per il quale io facevo il Volontario una chiamata dal Motel Q. Tutti erano eccitati, quel luogo risvegliava intense e assopite emozioni. Era un’uscita con codice di servizio classificato come “bianco-verde”, ovvero una sorta di via di mezzo tra “non emergenza” e “urgente”: nulla di preoccupante. Se fosse stato “giallo”, (“a rischio di vita”), o “rosso”, (“emergenza assoluta”), saremmo stati molto più veloci, ci saremmo spostati con le sirene.

Sentivo il cuore percuotermi dentro al petto, ero come consapevole che stessi per fronteggiare quello che era stato il mio destino per mesi, oramai.

All’arrivo nel lussuoso hotel, il concierge della reception ci aveva accompagnati, attraverso uno splendido giardino lussureggiante, fin nell’appartamento “Kubrick” da dove, aveva detto, era partita la chiamata. Una donna era caduta e non riusciva più a rialzarsi, aveva a malapena strisciato fino al telefono, non c’era nessuno che potesse darle una mano, poiché quella cliente si trovava da sola nella camera, lui lo sapeva di per certo, la registrazione alla reception era tassativa per poter accedere alle camere.

Alla richiesta di uno dei miei colleghi di come quella donna potesse essere da sola in posto come quello, il portiere aveva risposto con un’alzata di spalle che la bellezza risiedeva proprio nella stranezza, e quella donna non si trovava di certo sprovvista della prima.


C’era un piccolo uomo barbuto che batteva violentemente contro la porta della “Kubrick”. Diceva di essere stato attirato dai lamenti della donna. A me la situazione era parsa sospetta. Aveva lasciata sola la sua amante? Il concierge aveva voluto aspettare che arrivassimo noi dell’ambulanza per entrare, quella era la prassi, aveva detto, anche se certo era doloroso lasciare a soffrire una donna di un tale e profondissimo fascino.

La “Kubrick” era una perfetta riproduzione del Milk Bar di Arancia Meccanica. Diffusa c’era musica di Bach.

Riversa per terra, Corinne era completamente vestita, al piede destro portava una scarpa laccata di rosso, lucidissima e con un tacco vertiginoso. Il piccolo piede sinistro era nudo, e la caviglia visibilmente gonfia. “Finirai per ammazzarti, con quei rozzi trampoli”, le avevo detto la prima volta che avevo viste quelle scarpe, in casa, contro il muro, dal suo lato del letto. Non mi piacevano, sembravano scarpe buone per una prostituta.

Il piccolo uomo barbuto era entrato, ed era rimasto dietro di noi, impalato e come estasiato a guardare mentre tiravamo Corinne sopra la lettiga, dopo averle immobilizzato l’articolazione compromessa con delle stecco-bende di marca Ferno. Poi, sommesso, non aveva potuto fare a meno che copiose lacrime cominciassero a rigargli il volto, aveva cominciato a frignare come un ragazzino che assista all’investimento del suo cane, immobile, disarmato.

Il portiere, che era rimasto per tutto il tempo fermo sull’uscio, mentre portavamo fuori la paziente, indicando con il mento il piccolo uomo con la barba aveva sussurrato: “Devo correggermi, non è poi sempre vero che nella stranezza c’è della bellezza. Di certo qui si tratta di una coincidenza, o di una enorme fatalità. Forse due individui per così a lungo tempo solitari finiranno per voler condividere almeno le loro solitudini, ora che si sono incrociati”.

Tutti noi ci eravamo guardati allibiti. Che fosse possibile che Corinne e quel piccolo uomo barbuto usassero entrambi quel posto fatto di appartamenti lussuosi e stanze magiche e costosissime al solo scopo di masturbarsi solitari?


Dopo qualche giorno Corinne aveva lasciato la casa e la Corvette.

Da quando era andata a vivere con quel piccolo uomo, a me era venuta una folle paura di essere un individuo a rischio di infarto precoce. Su consiglio del capo del Comitato locale per cui ero Volontario, avevo acquistato una piccola macchinetta Ecg Ekg Monitor che teneva costantemente monitorata l’attività del mio cuore, e all’occorrenza potevo stampare dei piccoli foglietti di elettrocardiogramma, che avevo preso a leggere e voler interpretare come fossero fondi di caffè o tarocchi colorati.

Mi era stato consigliato di stamparne anche alcuni sotto sforzo. Avevo cominciato, in quel periodo, a masturbarmi in maniera violentissima, al solo scopo di procurarmi un grande affanno, e mettere così alla prova il mio muscolo cardiaco.

Quello sopra è un piccolo stralcio della mia attività cardiaca. Il fatto che il punto culminante della mia attività cardiaca sia senza eccezioni il settimo battito, deve per forza nascondere qualche segreto, di cui però non sono ancora riuscito a carpire la natura.

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